Episodio 0 - La fuga
Buongiorno, mi presento, mi chiamo Nina e sono una Pecora Nera. Io non ricordo di essere nata proprio nera nera (magari un po’ beige o grigiolina), eppure a circa due anni sono diventata scura come la pece. Ho il sospetto che qualcuno mi abbia fatto un brutto scherzo. Può essere stata quell’antipatica di Madama l’Ovina che, salita sul tetto, mi ha rovesciato addosso un barile di fuliggine mentre passavo, oppure quel cattivone di Papà Montone (che tutte noi chiamavamo “Capobranco”), che forse mi ha fatto uno sgambetto facendomi cadere nel fango. Insomma, non ricordo bene come sia andata, ma so di sicuro che dopo un po’ che tutti mi dicevano che sono una Pecora Nera, ho iniziato a crederci anch’io.
La vita di una Pecora Nera ha molti svantaggi, ma anche qualche vantaggio.
Lo svantaggio più grande è che anche la cosa più conforme e socialmente accettata del mondo, fatta da me, diventa un inno all’anarchia, un invito alla rivolta, un pericoloso attentato all’ordine universale. Una volta, per esempio, all’età di due anni e mezzo ho deciso che, essendo ormai arrivata la maggiore età, avrei dovuto cominciare a procacciarmi l’erba fresca nei campi, come fanno del resto tutte le pecore adulte. Quindi sono uscita dalla stalla, ho messo il muso fuori e ho dato una bella boccata d’aria, la giornata era tiepida e soleggiata. Una zampa dopo l’altra, ho raggiunto le altre pecore che brucavano calme qualche metro più lontano. Ho chinato il muso, ho iniziato a osservare con cura i fili d’erba, per scegliere quelli più verdi, e penso anche di aver avuto davvero un buon occhio, per essere la prima volta. All’improvviso, un belato profondo, roco, più simile al verso di un leone che a quello di una pecora, ha fatto vibrare l’aria e, con essa, anche me. Ho alzato la testa di scatto e ho fatto un salto, spaventata, mi sono guardata indietro, ed ecco che ho visto Papà Montone che, da sopra una collinetta di letame, mi guardava rabbioso. I suoi occhi mi fulminarono con spaventose saette mentre lui, con il petto gonfio, tuonava belando:
“Che cosa fai? Pazza, scellerata! Torna dentro alla stalla, non sei come le tue bianche sorelle, attendi il fattore con il tuo fieno, e non sperare mai più di essere in grado di procurarti da sola il cibo”
Io mi sentii mortificata e, delusa e a testa bassa, tornai dentro la stalla dove rimasi nell’ombra fino a quando non arrivò il fattore a portarci del fieno. Lui era buono con me, sembrava che non vedesse la differenza che vedevano tutti gli altri. Mi accarezzò e, come sempre, lasciò per me una porzione più grande, cosa che, nel gregge, destava sempre molta invidia. Rimasi scossa da quell’episodio, tanto che questo fu l’origine della mia successiva marachella.
Una cosa bella di essere una Pecora Nera, per contro, è che si può fare quello che si vuole e nessuno ne rimarrà stupito: potrei ballare sul tetto del granaio, sfidare i cani, attaccare le capre e provare a sbranare una gallina, e nessuno direbbe niente se non: “E’ una Pecora Nera, c’era da aspettarselo”. Quindi, ancora impressionata dall’episodio che vi ho raccontato, decisi di tentare un’altra avventura. Una notte, mentre le altre pecore dormivano profondamente, uscii quatta quatta dal mio recinto e, nascondendomi grazie al colore del mio pelo nell’oscurità della notte, mi infilai nel cassone del furgoncino che apparteneva al fattore. Mi coprii con un telo di plastica e non mi mossi fino al giorno dopo, quando il fattore cominciò il suo solito giro di consegne. Mi tenni forte alla prima curva (yuhuuu), alla seconda persi un po’ l’equilibrio ma riuscii a rimanere su e, quando finalmente il furgone rallentò in mezzo ai campi, senza farmi vedere, saltai giù. In un attimo, un istante veloce come il battere d’ali di una di quelle mosche fastidiose che a noi pecore girano sempre intorno, ero libera, o almeno così credevo. In quel momento, iniziò il mio lungo viaggio, alla fine del quale capii che le Pecore Nere esistono solo nella fantasia della gente e di quegli stupidi greggi che ancora ci credono.
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