Finì l’inverno e la primavera, che arrivò lentamente, fece fiorire gli alberi e schiudere i boccioli, mentre il sole accarezzava con i suoi raggi lievi il bosco che si risvegliava. La mia tristezza e la sonnolenza di Lino il ghiro, grazie al tepore, si sciolsero e scivolarono via come un minuscolo ruscelletto d’acqua, salata dalle nostre lacrime.
Io mi sentivo un po’ acciaccata, ero molto dimagrita e mi sembrava di non avere forze neanche per camminare. Per entrambi fu un risveglio difficile. Lino il ghiro, a causa degli acciacchi dell’età, iniziò a muoversi lentamente, prima fece qualche breve passeggiata, poi si spinse più lontano e alla fine riuscì addirittura a salire sugli alberi, come faceva di solito. In quel momento io capii che avrei dovuto riprendere il mio cammino. Salutai il mio amico e, ancora barcollante, me ne andai.
Sapete, il bosco in primavera è magico e camminare sui suoi sentieri ha un effetto benefico. Non so se vi è mai capitato di vederlo, ma se la risposta è sì, sapete bene che non ci sono parole per descriverlo. Sì, posso sempre dire che c'erano i boccioli sugli alberi e la rugiada sull’erba verde. Oppure posso esprimere la meraviglia nel sentire il canto degli uccellini al sorgere del sole, il rumore dei corsi d’acqua che scorrono, ma non credo che queste parole rendano abbastanza l’idea. Insomma, se non l’avete mai fatto, andate a fare una passeggiata nel bosco in primavera.
Io mi sentivo strana… Innanzitutto, non ero più tanto sicura di essere una Pecora Nera. Dopo aver incontrato tutti quegli animali e non aver trovato nessuno simile a me, pensai addirittura di essere semplicemente una pecora. Mi chiedevo se ero davvero nera oppure no, ma la strana reazione di tutti gli animali a cui lo avevo detto mi faceva pensare. Inoltre, dal momento che avevo trovato tutti loro disgustosi, anche se alla prima impressione mi avevano affascinato, pensai tutto sommato, di avere una certa classe, una discreta eleganza e soprattutto un cervello piuttosto efficiente e un nobile cuore. Tuttavia, anche se lo dico con un po’ di vergogna, temendo di essere supponente (vogliate perdonarmi), mi sentivo ancora… ecco, come dire… eh sì, mi sentivo proprio superiore alle mie candide sorelle.
Mentre mi abbandonavo ai miei pensieri, e mi facevo catturare dalla magia del bosco in primavera, feci il mio quarto incontro che (preparatevi) fu il più spaventoso di tutti.
Sul far della sera, al tramonto del sole e mentre il bosco si riempiva di ombre che, se non ci si è abituati, fanno un po’ paura, decisi di fermarmi a riposare su un morbido praticello, accanto a un corso d’acqua. In pochi minuti, mi appisolai, ma con un sonno leggero, tipo quello che voi uomini, o almeno alcuni di voi, avete in vacanza, o quando dormite in un letto che non è il vostro.
Dopo qualche minuto, o al massimo una mezz’ora, mi svegliai di soprassalto. Sentivo qualcuno ringhiare in modo spaventoso, nascosto dai cespugli alle mie spalle. Mi girai, pensando davvero di essere arrivata alla fine del mio viaggio, delle mie scoperte e anche di tutto il resto. Infatti, da lì a poco, un enorme lupo bianco, con gli occhi rossi, con denti appuntiti e, a giudicare dallo sguardo, davvero tanta fame, con un balzo si mise davanti a me.
Allora, noi pecore non siamo credenti. Dio, Allah, Buddha e quant’altro non appartengono alla nostra cultura, anzi non abbiamo proprio una cultura religiosa. Ma io, che avevo accumulato qualche conoscenza, mi rivolsi in quel momento di panico un po’ a tutti, sia mai che qualcuno fosse intervenuto. E in effetti, per sorte o per miracolo, qualcosa successe. Da dietro un albero saltò fuori un grosso cane nero come la pece, gli occhi blu come il mare (okay, il mare non l’ho mai visto, ma ho visto le foto) e una splendida macchia bianca sulla fronte, che sembrava una luna.
Iniziò la battaglia, che durò molto e la cui fine fu incerta fino all’ultimo momento. Il lupo era grosso e pesante, più grande del cane e anche più goffo. Le sue zanne e la sua testa erano quasi il doppio di quelle del suo avversario. Fece un salto e si gettò sopra al cane. Il cane, con il suo muso affusolato, riuscì a mordergli il collo, e lo tenne stretto fra i denti anche quando il lupo cercò di scrollarselo di dosso. Passò un minuto, due, tre… anche di più, il lupo guaiva e ringhiava insieme, il cane, dalla rabbia, aveva la schiuma alla bocca. Dalla ferita iniziò a uscire del sangue e il cane mollò la presa.
I due si fronteggiarono di nuovo, il lupo ferito, il cane stanco, ma nessuno dei due avrebbe ceduto.
Questa volta fu il cane ad attaccare e mirò al fianco. Ancora una volta, grazie alla sua agilità, morse il lupo, ma questa volta lo lasciò subito, per evitare di essere morso a sua volta. Se le zanne del lupo si fossero infilzate nella sua pelle, i microbi e la sporcizia della sua saliva sarebbero stati un veleno micidiale, tale da causare una morte quasi istantanea.
Il lupo era stanco e ferito, il cane era stanco e arrabbiato. Si ringhiarono addosso ancora un po’, ma il lupo mostrava una rabbia furiosa, distruttiva e incontenibile, che lo rendeva più debole. Al contrario, il cane era concentrato e, sebbene fosse arrabbiato quanto il lupo, la sua era una rabbia composta, indirizzata, insomma micidiale. Il lupo se ne accorse e, sapendo bene che non arebbe potuto avere la meglio, spaventato, se ne andò, ancora ringhiando ma con la coda fra le gambe.
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