E, a proposito di cercare, fu proprio una ricerca che rese possibile il mio terzo incontro, ma, questa volta, non si trattava della mia.
Mentre camminavo su un sentiero poco tracciato e quasi del tutto coperto da rovi e piante infestanti, sentii dei rumori che venivano da tutte le parti, e mi circondavano. Erano dei versi simili ai versi dei maiali della fattoria, ma più gutturali e profondi. Ero sicura che non potesse trattarsi di quegli animali, così pigri e grassi da non avere la possibilità di muoversi, ma era evidente che potesse trattarsi di qualcosa di simile. Impavida ancora una volta, gridai: "Ehilà! C’è qualcuno qui intorno?”, desiderosa di conoscere nuovi amici. Non ricevetti subito una risposta, ma sentii i rumori avvicinarsi. Incoraggiata, chiamai ancora: "Ehilà!!! C’è qualcuno?”
E a quel punto, mi si parò davanti l’animale più strano che io avessi mai visto. Il suo muso allungato era contornato da due zanne che non definirei grosse, ma dalle quali desiderai subito di tenermi in ogni caso alla larga. Le orecchie un po’ a sventola e gli occhi piccoli davano il tocco finale a quello che non avrei sin da subito definito una forma armoniosa. A completare tutto ciò, peli irti, corpo tozzo, zampe corte, e infine una muscolatura possente, che metteva paura. Trasalii dallo spavento e stavo per darmi alla fuga, non fosse che l’animale parlò:
“Buongiorno. Mi chiamo Diego, sono un cinghiale.”
Il tono della voce, l’espressione del viso e la postura del corpo mi risultarono così affascinanti che il suo orribile aspetto fisico passò immediatamente in secondo piano. Insomma, fui affascinata da quello che, un minuto prima, mi sembrava un mostro, ma in seguito dovetti tornare alla mia prima impressione (quella che, dicono tutti, non sbaglia mai, anche se a me questa cosa non ha mai convinto).
Diego mi presentò i suoi due amici, che si chiamavano Bruce, soprannominato “Lo Zio”, e Brian. Erano entrambi spaventosi, ma con modi di fare così eloquenti e affascinanti, che li considerai amici sin da subito.
“Buongiorno”, risposi, “io sono Nina, la Pecora Nera”
Tutti e tre amarono da subito questa definizione e decisero di prendermi nel loro gruppetto. Fu così che appresi in che cosa consiste la vita di un cinghiale.
I cinghiali sono animali con una grande forza dentro, una forza esplosiva, che deriva da una rabbia profonda. La loro storia è sempre complicata, pensate un po’ come può essere la vita di un essere brutto e spiacevole, che viene apprezzato solo per la bontà della propria carne. Il cinghiale non ha amici, anche se, qualche volta, come successe con me, riesce a ingannare altri animali, dai quali in realtà cerca solo di ottenere qualcosa. Quando lo conobbi, per esempio, Diego mi raccontò di un ghiro, di nome Lino, che aveva conosciuto grufolando in mezzo al bosco. Come si sa, sia i ghiri, sia i cinghiali mangiano bacche e il povero Lino, un po’ avanti con l’età, non riusciva più a procurarsi il cibo come faceva una volta. Si avvicinava l’inverno e le scorte di Lino non erano sufficienti per superare il freddo. Diego, impietosito (o almeno così disse lui, e io gli credetti) si offrì di procurargli ghiande, castagne, noci e nocciole in abbondanza.
“Sai Lino” gli disse “l’inverno che si avvicina sarà duro, e lo sarà anche per me. Condividerò con te il mio cibo, con gioia, ma ti chiedo in cambio solo un piccolo favore. Mentre io cerco da mangiare, tu scaverai la tua tana, e la scaverai profonda, più profonda e più larga del solito. Così, ogni tanto, anche io potrò venire a riposare al caldo”.
Lino, che non aveva altra possibilità, accettò, anche se era un po’ preoccupato. Ce l’avrebbe fatta, lui, un animaletto solo, piccolo e anziano, a scavare una tana così grossa?
Intanto, io accompagnavo il cinghiale Diego nella sua ricerca e, vi devo dire, io non ero per niente brava, a cercare le ghiande. Tuttavia lo seguivo, camminavo dietro di lui nei boschi e, la sera, quando raggiungevamo i suoi amici per riposare e dividere le provviste, mi divertivo con loro, alla maniera dei cinghiali. In questo, pensai inizialmente, i cinghiali sono bravi. Dopo aver mangiato le ghiande e acceso il fuoco, infatti, si dividevano fra di loro dei funghetti dal cappello rosso con dei minuscoli pallini bianchi. Ne mangiavano un pezzetto a testa (e anche io, ovviamente, partecipavo) e poi, in preda alle allucinazioni, iniziavano a muoversi convulsamente al ritmo dei loro stessi grugniti. La festa finiva solo la mattina, all’alba. Allora, i cinghiali stramazzavano a terra esausti, e si addormentavano immediatamente. Anche io mi accasciavo, le zampe non mi tenevano più, cascavo a terra esausta. Quando si svegliavano, dopo solo un paio d’ore, Diego e gli altri iniziavano a darmi musate e ogni tanto, con le loro zanne,mi facevano anche male.
Arrivò quindi l’inizio dell’inverno e Diego, con me sempre appresso, tornò dal ghiro Lino. Egli era lì, tutto preso a scavare, e sistemare foglie e rami per rendere la tana più accogliente. Ma a Diego la tana non piacque e non esitò a esclamare immediatamente, con un grugnito spaventoso:
“Che cos’è, ghiro Lino, questo minuscolo buchetto ricoperto di rami e foglie secche? Tu pensi che io, il grande cinghiale Diego, il più forte e il più grande cinghiale di questo bosco, e di tutti gli qui intorno, possa dormire in una stamberga del genere?”
E dopo aver detto questo, si gettò nella tana e, usando le sue pericolose zanne e il suo corpo imponente, la distrusse.
“E ora”, disse piangendo il piccolo ghiro, “dove andrò io, per tutto l’inverno?”
Iol cinghiale, che fino a quel momento si era dimenticato di lui, si girò di scatto e iniziò a caricarlo. Fu allora che mi misi in mezzo.
Proprio mentre l’animale arrabbiato stava per scagliarsi contro il povero ghiro, con un salto scattante (sì, devo dire che per essere una pecora sono piuttosto agile) mi misi in mezzo ai due. Diego si fermò e mi guardò con gli occhi infuocati:
“Levati di mezzo, Pecora!”
“No” gli risposi “se vuoi prendertela con qualcuno, fallo con me, ma non con il piccolo ghiro!”
Diego allora, gonfio di rabbia, mi caricò e mi fece cadere a terra, schiacciandomi con tutto il suo peso. Mentre cercavo di rialzarmi, barcollando, lui sferrò il secondo attacco, questa volta colpendo con il muso il mio fianco, ferendomi con le zanne il fianco, che iniziò subito a sanguinare.
Intanto i due fidi compari di Diego, Brian e Lo Zio, accorsero, stupidi da quel grande baccano.
“Lasciala stare, Diego! No ne vale la pena!”, urlò Brian.
“Ma come”, dissi “io non ho fatto niente, è lui che mi picchia senza motivo”, e scoppiai a piangere.
“Questi sono problemi vostri e se ti picchia”, disse Lo Zio “forse te lo sei meritato!”
I tre se ne andarono, lasciando me e il povero Lino da soli.
Lino raccolse in fretta le ghiande, le castagne, le noci e le nocciole che i cinghiali avevano lasciato lì, incuranti, e in poco tempo sistemò la sua tana, che per lui era più che abbondante.
Io constatai che la mia ferita non era profonda, anche se, insieme a tutte le altre ammaccature, faceva molto, molto male.
“Povera pecora”, mi disse Lino “rimani con me, quest’inverno. Il mio riparo basterà per entrambi e, stringendoci, ci riscalderemo”.
Accettai, e fu così che trascorsi l’inverno: molto triste e stretta stretta al povero ghiro.
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