Ero in mezzo alla campagna ampia e silenziosa, non so se avete presente quella che non ha confini, case, recinti, limiti. Non c’era nessuno e tutto quello che si sentiva era il vento forte, che sussurrava una specie di boato. Non so se ci siete mai stati, in una campagna così. Io ho fatto molti viaggi ormai, e so bene che non sono tutte uguali. Ci sono quelle che viste dal basso non sembrano niente di che, fattorie, piccoli campi, tanti recinti, ma che dall’alto diventano un patchwork di colori, un susseguirsi di morbide colline, una trama intricata di fiumi e fiumiciattoli. Poi, ci sono quelle che lasciano a bocca aperta per la rarità delle piante coltivate. Per esempio, una distesa di lavanda e poi una di girasoli: steli sottili, colori brillanti, profumi intensi. E poi, c’è quella in cui mi trovavo in quel momento. Ampia e distesa, infinita, ventosa e sovrastata da un cielo profondo, pieno di nuvole che si rincorrono e di raggi di sole che compaiono e scompaiono.
Sapete, se si vive tanti anni in un minuscolo spazio vitale, il rischio è che quando finalmente si è liberi, non si sa che cosa fare. Ero come immobilizzata, non avevo idee, non sapevo quali fossero le possibilità che mi si aprivano davanti, anzi neanche ero sicura di averne. Che cosa può fare una pecora nera tutta sola in giro per il mondo?”, pensavo. Trotterellai un po’ in giro, appesantita da questo pensiero e, dopo aver trovato un bel praticello verde e assolato, decisi di fermarmi a mangiare qualcosa e a schiacciare un pisolino al sole, due cose che ero certa di saper fare. Mi adagiai su quel comodo tappeto verde e, in pochi minuti, mi appisolai. Nel dormiveglia, senza che ne avessi il controllo, i miei pensieri vagarono un po’ fra il passato e il presente, intrisi di senso di colpa e di paura. Ma se pensavo al futuro, venivo attraversata da una scossa, il sangue mi correva più veloce nelle vene, le tempie mi pulsavano e i miei occhi brillavano. Travolta dalle forti emozioni della giornata, mi addormentai e feci dei sogni, come dire, agitati, che però non ricordo con esattezza. So che dovevo scappare, aiutare una pecorella smarrita, poi eravamo salve.
Quando mi svegliai, era già sera e la campagna, così silenziosa in precedenza, si era animata di vita e di rumori. Mi scrollai, mi alzai, stropicciai gli occhi e vidi che verso di me veniva qualcuno. Camminavano vicini, sembravano due individui poco affidabili, due pallette di pelo non troppo slanciate, con le gambe cortine e le zampe con delle belle unghie appuntite. Nonostante la tarda ora, erano belli svegli e pieni di vita, e mi si avvicinarono, uno con un’espressione antipatica che sembrava piena di secondi fini, l’altro con il muso soddisfatto. Il più grosso prese per primo la parola:
“Mi presento, sono Mister Tasso, ma tu chiamami pure Tasso. E lui è il mio coinquilino, Monsieur Procione”. L’altro si limitò ad annuire, con una luce sveglia e cattiva negli occhi. “E tu? Tu chi sei? Non è frequente vedere una pecorella che se ne va in giro tutta sola e libra per la campagna”, disse il secondo e, guardando l’altro con un’aria di intesa, si mise a ridacchiare. Monsieur Procione scambiò lo sguardo e ridacchiò anche lui. Sembrava che Mister Procione perdesse fili di bava dalla bocca, ma lì per lì non mi soffermai più di tanto su quel particolare.
Pensando che si trattasse di tue tipi bizzarri, forse un po' misteriosi, ma tuttavia adatti ad accompagnarmi nelle prime tappe della mie scoperte, risposi: “Sono una Pecora! Una Pecora Nera!” I due scoppiarono a ridere, così forte che mi sentii offesa. “Davvero?”, rispose il brutto ceffo, quello più chiacchierone “Credevo che non esistessero” e, anche dopo queste poche parole, scoppiò a ridere, seguito a ruota dal suo compagno.
Ma quello che dissi dopo li eccitò ancora di più.
“Be’, sì”, continuai, esistono tanto quanto me e… io sono l’unica del gregge”, i due si tenevano la pancia dal ridere, “visto che mi sento diversa da tutti ho deciso di scappare. Sono una pecora avventuriera e… a quanto sembra, visto che sbaglio sempre, anche un po’ cattiva”. A quel punto i miei nuovi amici si rotolavano per terra e rischiavano di soffocare dalle risate. Quando riuscirono a riprendere fiato, i due si scusarono e, dopo essersi allontanati di qualche passo, scambiarono fra di loro due parole, per poi tornare da me in pochi istanti.
“Senti, amichetta”, mi apostrofò Mr. Tasso “vedi anche noi siamo… un po’ speciali. Animali notturni sai, a volte con i nostri momenti, imprevedibili, ci piace dormire molto e non lavorare… io me la cavo”, aggiunse il Tasso e poi, indicando il Procione, “lui un po’ meno. E comunque mia cara, tutti si dovrà pur mangiare, io, te lui… e anche tutto il resto del mondo. Per alcuni è più facile, per altri meno ma… ecco abbiamo pensato una cosa. Se vuoi, stasera puoi essere dei nostri. Facciamo due passi, andiamo in esplorazione, vediamo di entrare in qualche cortile, o nei granai, e così ti facciamo vedere come si fa. E poi, all’alba… Be’ che vinca il migliore!”, e pronunciando questa frase, di cui io non compresi il significato, scoppiarono di nuovo entrambi a ridere.
Ecco, devo dire che non mi piacquero subito, e che non mi piacquero del tutto, ma dentro di me pensai che forse questi due poco raccomandabili compagni di viaggio facevano proprio per me, una Pecora Nera, ossia quella che qualsiasi cosa fa, l'ha fatto male, insomma 'na mezza delinquente, proprio come loro. A questo punto, pensando di fare l’unica cosa giusta che una pecora nera può fare, accettai.
La notte era tiepida e la luna era piena. La sua luce illuminava i campi, così che noi potevamo vedere ogni cosa. Ogni tanto ci passava davanti un coniglio. Alcune si scambiavano occhiate con Mr. Tasso, in seguito scoprii che erano stati vicini di casa. Quando gli chiesi il motivo per cui non si fermavano a salutarlo, lui rispose vago:
“Diciamo che la vicinanza non ci ha fatto troppo bene. Poi i conigli fanno troppi cuccioli, ho dovuto allontanarli” e concluse seccamente: “tutto qui, niente da dire”.
Mi accontentai della spiegazione, anche perché stavamo entrando nel territorio dei cinghiali e lì dovevamo stare attenti. Brutti ceffi, grassi e puzzolenti, i cinghiali non piacevano neanche a Mr. Tasso e a M. Procione, ma non camminammo comunque troppo di fretta. Anzi, di tanto in tanto, Mr. Tasso allungava l’orecchio e M. Procione aguzzava la vista, credetti che lo facevano per tenere sotto controllo la distanza fra di noi e quei terribili animali, ma capii dopo che il loro scopo era un altro. A un certo punto, sentimmo qualcosa di più piccolo di un cinghiale trottare verso di noi. Anche questa cosa emetteva grugniti, ma meno rochi e spaventosi degli altri.
“Eccoli, eccoli!”, bisbigliò M. Procione (era forse la prima volta che sentivo la sua voce?) e subito Mr. Tasso gli intimò di stare zitto.
“Che cosa fai, cretino! Vuoi far scappare i cuccioli? Io ho una certa fame!”
In quel momento capii che ciò che si muoveva dietro di noi erano i piccoli cinghialetti appena nati, che i due volevano trasformare nella loro cena. Sconvolta, emisi un belato di orrore e feci scappare i cuccioli. I due si rivolsero immediatamente verso di me, ed erano davvero molto arrabbiati. Dopo qualche imprecazione, che ora non ho voglia di ripetere, perché sono pur sempre una Signora Pecora, i due si calmarono, cercando di tranquillizzarsi l'uno con l’altro.
“Non è poi così grave, troveremo un’alternativa”, disse M. Procione per sdrammatizzare. Mr. Tasso rispose: “Anzi, l’abbiamo già!”, e i due tornarono allegri.
Continuammo la nostra passeggiata e a un certo punto arrivammo al fiume. Appollaiato su uno scoglio c’era un bellissimo airone grigio. Slanciato, elegante per il suo lungo collo, per il becco tornito e per quel colore delle piume che, si sa, non passa mai di moda, fiero continuò a farsi gli affari suoi e non ci degnò di uno sguardo. I miei due compagni di avventura non esitarono a buttarsi in acqua e, con mosse goffe e facendo un gran rumore, notarono verso l’uccello. Senza scomporsi, questo prese il volo, lasciando i due cacciatori incapaci con un pugno di mosche in mano.
Dopo essere usciti dal fiume, fradici, i due imprecarono ancora un pochino, e poi decisero di riprendere la strada. Stava per albeggiare e decidemmo di dirigersi verso la loro tana.
“Poi dormire lì fuori, se vuoi”, disse in modo mellifluo Mr. Tasso.
“Sì, vicino a noi”, rispose M. Procione, con uno sguardo carico di desiderio puntato su di me. I due mi piacquero ancora meno di prima. Arrivati alla loro tana, entrarono nel loro labirinto di cunicoli, promettendo di tornare presto con qualcosa da mangiare. Dopo poco, uscirono di corsa con lo sguardo assatanato e in mano coltelli e un forcone. Mi corsero incontro, e io scappai. Le lacrime mi colavano dagli occhi, ma non mi fermai. Spavento e umiliazione si mischiavano dentro di me, e provai una rabbia sorda ma esplosiva che si trasformò in quella forza che mi fece correre ancora più forte.
Quando fui sicura di non essere più seguita (e non ci volle molto, visto che i due avevano zampe tozze e grasso accumulato sui fianchi, ma non solo), mi fermai e, in mezza a quella campagna infinita, scoppiai a piangere a dirotto. I singhiozzi mi scuotevano il petto mentre stringevo forte a me quel senso di ingiustizia che tante volte avevo già provato. Dentro di me la rabbia sorda e incontrollata si concentrava sempre di più solo dentro al mio corpo, mentre io la trasformavo in una palla di fuoco che sarebbe potuta esplodere dentro di me,
Dopo essermi sfogata, mi alzai e continuai il mio viaggio.
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